di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice
Tra le fonti consultate per la presente recensione si cita hynerd.it/mia-recensione-amore-non-tale/
Dopo essere stato presentato in anteprima durante il Bifest – Bari International Film Festival 2023, il nuovo film di Ivano De Matteo, Mia, è uscito nelle sale italiane lo scorso giovedì 6 marzo.
Attraverso la storia di un’adolescente innamorata Ivano De Matteo porta sullo schermo temi delicati e complessi, dal revenge porn allo stalking, dal rapporto genitori-figli alla giustizia privata.
Temi spinosi trattati da una varietà di personaggi e attori impegnati tra cui Edoardo Leo nei panni di Sergio, Milena Mancini che interpreta sua moglie Valeria, Riccardo Mandolini (Marco), Alessia Maniscatri (Anna), Giorgia Faraoni (Veronica), Giorgio Montanini (Piero), Vinicio Marchioni (Il padre di Marco) e l’esordiente Greta Gasbarri nel ruolo di Mia.
La trama è ben delineata: la storia di una famiglia piccola, semplice e felice in cui entra violentemente un ragazzo, un manipolatore, che stravolge la vita della Mia quindicenne piena di vita e la rende un incubo. La umilia e la isola. E quando questa, aiutata proprio dal padre, si stanca e lo abbandona, allora inizia un processo di distruzione: ecco che le sue fotografie più intime, i loro filmati più confidenziali vengono esposti online, mettendo in pratica quel noto Revenge porn causa di molteplici sintomi, fino alla scelta suicidaria, in ogni vittima che vi si imbatta, come i casi di cronaca tristemente indicano.
Narrare una straziante realtà
Ivano De Matteo porta sullo schermo con una regia salda, cupa ed essenziale, senza particolari guizzi stilistici, la storia di Mia in relazione al tipico soggetto narcisista e manipolatore, che non fa altro che allontanare violentemente Mia dalla sua famiglia e dai suoi amici, spegnendo la luce che fino a poco prima brillava negli occhi dell’adolescente.
Ad accorgersi in modo repentino del cambiamento della figlia, il padre Sergio, che all’inizio del film ci viene presentato come la figura genitoriale meno incline nel comprendere la fase della vita in cui si trova la figlia, a differenza di Valeria (Milena Mancini), sua moglie, più accondiscendente e giustifica spesso Mia.
Ma se inizialmente Sergio appare come un padre troppo apprensivo, e a tratti pesante, durante il corso del film prende coscienza di quanto sia necessario e sano vedere la figlia vivere la sua età con spensieratezza e finisce per provare una forte nostalgia anche per i momenti di ribellione e per gli atteggiamenti della ragazza che non comprendeva e giudicava “Voglio che torni tardi la sera, che faccia le telefonate sceme con le sue amiche che non capisco”.
Perché “lei ha 15 anni e deve fare baldoria, lui ha 20 anni, invece, si tratta di un ragazzo che urla al padre ‘Mia è Mia’ facendo intendere potentemente il senso del possesso e che non ‘gli spacca la faccia perché lui è vecchio”.
Sergio e sua moglie Valeria lottano con tutti i mezzi a disposizione per poter rivedere la luce che emanava la loro Mia brillare di nuovo, ma non sempre gli sforzi fatti riescono a evitare che il male abbia la meglio.
Di seguito alcune frasi emblematiche utilizzate durante la visione della pellicola.
“Lui chiama cinquanta volte al giorno, non vede più le sue amiche, sta sempre con lui, la soffoca, non è normale che lui decida come si veste, lei non si mette più il rimmel, ci manca solo che vivono insieme”, tra le apprensioni principali del padre.
Da qui lo sfogo con lo zio affinché parli con il ragazzo e il voler parlare lui stesso con quel ragazzo che “non gli piace affatto”.
La storia di Mia è, insomma, la storia di tanti, troppi adolescenti, e il loro strazio, e il dolore di Sergio e Valeria, è lo stesso di moltissimi genitori che hanno vissuto una situazione simile.
Quello di Ivano De Matteo, pur soffrendo di dialoghi stereotipati e nella prima parte risultando eccessivamente didascalico, è un film che riesce a raccontare senza buonismi una storia triste e dolorosamente attuale.
Mia è per lo spettatore una presa di coscienza ulteriore di una realtà che può toccare chiunque, è una pellicola che fa male e che quando finisce lascia delle ferite.
Come quando Mia dichiara di essere felice, che le amiche sono invidiose di lei (che è in realtà felice con lui), lei che “non va più alle pizze delle amiche”, che si isola e sta appassendo lentamente.
Una ragazza che si mostra spenta, sciatta, che viene controllata al cellulare e perciò non esce da casa.
Che opterà infine per la scelta estrema mentre la madre le parla nella speranza di un Ritorno e il padre urla senza il coraggio di vederla ridotta in quello Stato.
La raffigurazione del carnefice e il mondo degli adolescenti
Il ragazzo del quale Mia si innamora, Marco (Riccardo Mandolini) non presenta una personalità ben definita, non sembra esistere un modo per lo spettatore di trovare una risposta alla domanda: “Perché si comporta così?“.
Non risulta facile, addirittura risulta impossibile, entrare in empatia con Marco in alcun modo, non vi è alcun dettaglio che possa farci intuire una vita passata di traumi o situazioni che lo abbiano portato ad agire in questo modo tossico e violento, anzi nemmeno di fronte allo strazio di un padre disperato riesce a provare un minimo di compassione e ammettere i propri errori. Una scelta, quella di spersonalizzare il carnefice, necessaria ai fini di rendere più chiaro possibile un messaggio: non sempre chi fa del male possiede delle motivazioni pregresse (anche il padre del carnefice risulta, per esempio, nella parte finale del film, molto più umano del figlio), e confonde spesso l’amore con il possesso.
Se il personaggio di Marco, privo di qualsivoglia forma di empatia o pentimento, è lo specchio di una realtà dolorosa, di un carnefice che non prenderà mai coscienza di esserlo, alcune scelte invece riguardanti l’universo adolescenziale attuale possono risultare agli occhi degli spettatori eccessivamente stereotipate.
Alcuni luoghi comuni, così come il linguaggio utilizzato nei dialoghi tra giovani ricco di slang, se da una parte rappresentano comunque una realtà e uno spaccato dell’attuale generazione, dall’altra in una narrazione così intima possono risultare come una sbavatura nella scrittura.
Sulla figura di Sergio
In Mia, Sergio è un pugno nello stomaco, un personaggio che fa vivere tutto il suo strazio e la sua disperata ricerca di giustizia allo spettatore come se fosse in qualche modo lì, accanto a lui a vivere il suo dolore, con in mano la pistola della vendetta e l’emissione di una sentenza tutta da verificare in sala, sulle note struggenti della graffiante voce di Noemi nella canzone “Per tutta la vita”.
Edoardo Leo dà prova ancora una volta della sua fortissima potenza comunicativa, capace di coinvolgere e sensibilizzare anche chi pensa di essere estraneo a determinate situazioni.
È difficile restare indifferenti di fronte a Sergio e alla sua deriva, che, dalla seconda metà della pellicola fino al suo termine, rappresenta il vero motore della narrazione, in grado di mettere in secondo piano la stessa figura di Mia e la portata del suo gesto, frutto del Non-senso di una vita priva, ormai, di ogni attrattiva, macchiata di calunnie e offese insopportabili.
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