Docente e saggista, ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, aveva 71 anni
È morto Philippe Daverio, critico d’arte, gallerista, docente, “civil servant”, scrittore, divulgatore. Era nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia, che considerava il crocevia dell’Europa, da padre italiano. Poliglotta, parlava quasi tutte le lingue europee. Si trasferì a Milano intorno al Sessantotto, che fece a modo suo, sfilando nei cortei con il papillon: già da giovane il suo modo di vestire eccentrico lo distingueva dai conformismi. Non prese mai la laurea ma trovò presto la sua strada aprendo una galleria d’arte che divenne in breve tempo una delle più importanti della città, subito protagonista dei corsi e ricorsi del gusto, per esempio nella rivalutazione dell’arte italiana del Novecento, compresa quella di epoca fascista.
Fece scandalo nella Milano dei salotti, dopo Tangentopoli, quando accettò di fare l’assessore alla Cultura nella prima giunta leghista che governò la città, quella di Mario Formentini. Lo fece perché, appunto, aveva un’idea alta della politica e si considerava anche al servizio della comunità. Fu comunque la sua unica esperienza politica.
Chiusa la fase del gallerista, Daverio iniziò a fare quello che gli riusciva meglio: comunicare, senza steccati né pudori da intellettuale italiano. In televisione, per cominciare, dove fu autore e conduttore di una fortunata e bellissima trasmissione su Rai3 e poi ospite a Striscia la notizia. Sui giornali, dove era spesso ospite sia come editorialista che come intervistato. Sui libri, scrivendo molti volumi dove la divulgazione non diventava mai approssimazione e la bellezza della scrittura mai faciloneria. E all’università, a Palermo, dove ebbe una cattedra, lui che la laurea non l’aveva mai presa.
Conversatore di verve e di cultura straordinaria (una cena con Daverio valeva, appunto, come una lezione universitaria, ma di solito era molto più divertente), era diventato un personaggio senza volerlo, semplicemente grazie alla simpatia, all’arguzia, alla calcolata eccentricità dei suoi gessati e dei suoi paradossi. Un grande “irregolare” della cultura, che mancherà moltissimo a un Paese sempre più standardizzato e noioso. (lastampa)
Daverio fu portagonista di una polemica contro il popolo siciliano. “Non amo la Sicilia, io ho paura dei Siciliani, l’intimidazione è nelle loro tradizioni, sono convinti di essere il centro del mondo (è una patologia locale), sono terroni e rosicano” disse.
Qualche tempo dopo affermò: “I siciliani hanno un problema di super ego. Non posso risolverlo io, ma ci vorrebbero migliaia di psichiatri”. Dichiarazioni che arrivarono persino in parlamento e a nulla valse la sua lettera di scuse inviata all’allora presidente della Regione
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