di Angela Ganci
Psicologo psicoterapeuta, giornalista, docente
Bamboccioni: così li definì l’ex ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa, indicando, con un termine di per sé emblematico, quella parte di giovani eccessivamente legata alla famiglia di origine, eccessivamente pigra, incapace di “uscire” dalla casa genitoriale.
A prescindere dal linguaggio colorito dell’allora Ministro, quanti sono gli Italiani ancora incollati alle sottane della madre, e soprattutto, perché preferiscono le “certezze” delle origini contro l’incerto futuro, foriero di maturità e prosperità, ma anche di autonomia e responsabilità?
In merito a questo ci illumina il Rapporto Eurostat 2019, che riporta come, tra i 18 e i 34 anni, circa i due terzi dei giovani italiani, il 65,8%, viva ancora tra le mura domestiche. In Europa si starebbe meglio: tra gli under 34 dell’UE meno della metà è invece definibile come “bamboccione”. La situazione non va molto meglio nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni: in questo caso Eurostat rileva un dato del 49% di “bamboccioni”, di 20 punti percentuali più alto rispetto alla media europea del 29%.
Varie le interpretazioni, e almeno due da tenere in considerazione.
Da una parte, le scarse opportunità lavorative che portano i giovani a uno “stabile precariato” dove al più ambire a un lavoro fisso abbastanza distante dai propri studi, purché si abbia “voglia di lavorare”; dall’altra parte, un attaccamento atavico per un familismo tutto italiano, che, volente o nolente, fa parte del tessuto della penisola dalla notte dei tempi.
Ora, senza volere fare il paladino dell’una o dell’altra interpretazione, è indubbio che le scarse opportunità lavorative e la scarsa possibilità di pagarsi un affitto decente, anche alla luce dei prezzi esorbitanti degli affitti in città, scoraggi e impedisca un’autonomia peraltro, a volte sperata.
Peraltro, chi non ha una famiglia solida alle spalle fa fatica ad andare altrove per cercare lavoro; e, senza garanzie, chiedere un prestito in banca non è un’opzione fattibile.
Se a questo si aggiunge un curriculum vitae di tutto rispetto, ottenuto con anni di sacrifici, anche economici, a fronte di occupazioni spesso totalmente distanti dal proprio bagaglio di competenze o francamente al di sotto delle proprie potenzialità, viene complicato colpevolizzare i giovani di una Pigrizia intrinseca.
Il permanere in casa, quindi, sembrerebbe un’opzione salvavita, soprattutto per chi, per indole o abitudine, può non avere propensione a spostarsi a chilometri di distanza, per di più per inseguire occupazioni poco confacenti a se stesso (Non tutti sono in grado di fare tutto).
Trascurare l’abitudine o, se si vuole, l’indole è, psicologicamente parlando, molto rischioso: da qui l’importanza di adeguati incentivi statali, il più precoci possibili, che non si riducano al famoso reddito di cittadinanza, ma a politiche attive del lavoro, un lavoro che auspicabilmente sia allineato alle proprie competenze e attitudini e non sia allocato in remoti paesi sperduti nel nulla, senza lo scomodo alibi di “essere mantenuti dallo Stato o da genitori che invecchiano”. Questo, coniugato a un’educazione familiare che miri il prima possibile all’auto-responsabilità, che parta da azioni comuni, automatiche, come rifarsi il letto la mattina.
Insomma, l’uomo è la Sua Abitudine, insegnano i Maestri sapienti, ma le abitudini si forgiano nel tempo, quindi sembra difficile puntare automaticamente il dito contro più o meno giovani, più o meno “costretti” a permanere nella comodità della tana familiare, con la sola colpa di non Essere contemporaneamente Tuttofare, iperflessibili, casalinghi di tutto punto e manager in cravatta, escludendo chiaramente i casi di “incollamento per comodità che poggia su basi caratteriali difficilmente modificabili”, dove però ancora sarebbe complesso discernere tra Indole, quindi Natura, e Abitudine, quindi Apprendimento.
E qui riecheggia ancora il Ministro con la celebre frase “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa. Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un’idea importante”.
Un’idea sicuramente importante, fattibile, però, con la partecipazione dell’intera Società e non con un generico rimando all’auto-responsabilità delle persone, con l’idea aberrante di snaturare la persona, “colpevole” magari di non accettare lavori improbabili, eppure ben pagati, improbabili rispetto alla propria Indole/Cultura con cui si è convissuti fino all’età della Scelta “fatidica”.
Perché l’uomo è sì Autore di scelte, ma che sempre sono vincolate dalle pregresse esperienze di vita, da abitudini consolidate fin dall’infanzia, corresponsabili Altri, talora ardue da modificare, e dalla mancanza o meno di supporti esterni al cambiamento, come mansioni equiparabili (preferibilmente) al proprio grado di istruzione e alle proprie esperienze lavorative pregresse, o corrispettivi economici che attribuiscano dignità e senso al cambiamento di Vita in direzione dell’autonomia.
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