ROMA (ITALPRESS) – I big dell’energia si apprestano ad accogliere la sfida del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che nel presentare il suo programma di lavoro ha puntato sull’idrogeno verde. L’energhia elettrica, che più facilmente si ottiene dalle rinnovabili, anche nel 2050 non coprirà che il 50% del fabbisogno energetico. “La restante parte che oggi utilizza fonti non rinnovabili fossili, richiederà altre fonti energetiche che non siano l’elettricità. Qui entra in gioco l’industria dell’idrogeno”, ha spiegato Marco Alverà, Ceo di Snam, intervenendo a un forum di Rcs Academy su idrogeno e green economy. “Per rendere l’idrogeno verde una realtà e non un sogno, servono dieci anni durante i quali dobbiamo far crescere il parco di rinnovabili. Fino al 2030 dobbiamo elettrificare tutto quanto possibile, con cui produrre l’idrogeno verde da destinare ai settori ad alta intensità, dando l’ultima spallata alla carbonizzazione di settori come la produzione di acciaio e cemento, che dipendono ancora dai combustibili fossili. Dobbiamo tappare questo buco”, ha chiarito Francesco Starace, Ceo di Enel, che in questo settore investirà 190 miliardi in 10 anni.
Contestualmente, l’evoluzione tecnologica, dovrà anche ridurre i costi di processo per produrre l’idrogeno. Le incognite sono tre. “Il primo problema è che abbiamo davanti poco tempo”, ha chiarito il Ceo di Eni, Claudio De Scalzi. “Poi c’è il costo, che oggi è 8-10 euro al chilo per l’idrogeno verde, non è competitivo. E poi c’è il consumo d’acqua: per una tonnellata di idrogeno, servono 8-9 tonnellate di acqua demineralizzata. E serve elettricità, in continuo, che oggi il fotovoltaico da solo non garantisce, l’elettrolisi ha infatti bisogno di continuità”. Partita finita?
Assolutamente no, “dobbiamo e vogliamo investire in ricerca”, garantisce Descalzi. Ecco perchè si ritiene realistico, che il costo degli elettrolizzatori, principale voce di costo industriale nel processo produttivo dell’idrogeno, scenda in un fattore di sei. “E’ successo in altri settori, in 10 anni si può fare – garantisce Starace – e se ci arriveremo, lo capiremo già tra 5 anni”. Ancora più ottimista Alverà, che punta ad arrivare al prezzo di 2 euro al chilo entro 5 anni, un valore che metterebbe l’idrogeno alla pari del diesel. La produzione low-cost dell’idrogeno verde appare possibile quindi nel 2030. A quel punto andrà distribuito. E qui il cammino appare ancora più in discesa, poichè si potranno usare gli attuali gasdotti, che sono molto avanzati in Italia, ad esempio la rete Italgas è interamente digitalizzata, unica in Europa. Tanto che in Sardegna nei prossimi anni sarà sperimentata la distribuzione dell’idrogeno. L’insieme di soggetti qualificati come quelli italiani è un asset che pochi Paesi possono vantare. Sulla produzione da rinnovabili, passare dall’attuale 40% al 72% ipotizzato da Cingolani, non è una sfida complessa. Quindi cosa serve? “Dobbiamo recuperare sul fronte normativo”, spiega Alverà, copiando il modello tedesco. E qui entra in gioco Stefano Besseghini, presidente dell’Arera: “Il mercato dell’idrogeno oggi non c’è. Però intravediamo potenziali di utilizzo in altri settori, specialmente guardando alle politiche di decarbonizzazione”, sottolinea, aggiungendo che “attorno al settore delle rinnovabili, si sta sviluppando una capacità di investimento incredibile”. Perchè investire in questo settore vuol dire salvare il pianeta e l’economia. “Abbiamo le chance per essere leader nel settore dell’idrogeno verde. Le condizioni di partenza sono ottime. A2A può produrre e utilizzare l’idrogeno, anche attraverso i termovalorizzatori” ha spiegato Renato Mazzoncini, Ad della multiutility milanese, auspicando che “si faccia qualche riflessione sugli oneri di sistema per la produzione dell’energia. Dobbiamo sviluppare una filiera”.
(ITALPRESS).
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