di Angela ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice.
Codice Rosso: una Legge dello Stato attraverso la quale la difesa delle vittime di violenza domestica e di genere è divenuta realtà sempre più definita, con l’inclusione di categorie di reato sempre più specifiche e pene esplicite a tutela delle persone che hanno subito abusi e soprusi di varia natura e livello di gravità.
Una realtà di indiscusso valore per la società tutta, nata dall’esigenza di rispondere all’emergenza di un fenomeno che necessitava di interventi particolarmente urgenti di contrasto e prevenzione, e che vede le sue origini il 19 luglio 2019, da quando, appunto, il Codice Rosso è Legge della Repubblica Italiana a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze, per atti persecutori e maltrattamenti, includendo determinate categorie di reati, prima non contemplate nella normativa italiana, come il Revenge Porn.
Di seguito si evidenziano i nuovi reati inseriti, rimandando, per le modifiche di quelli già considerati a livello legislativo, alle fonti dedicate (per esempio accedendo al Sito Iusinitinere.it al link https://www.iusinitinere.it/il-codice-rosso-e-legge-la-disciplina-della-tutela-penale-delle-vittime-di-violenza-domestica-23896).
Si parte con il Reato denominato “Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” (articolo 387 bis Codice Penale) punito con una pena fino a tre anni di reclusione.
Degno di interesse anche il nuovo articolo 558–bis del Codice di procedura penale con il quale viene introdotto il reato di “Costrizione o induzione al matrimonio”, punito con la reclusione da 1 a 5 anni.
Arriviamo così al fenomeno definito Revenge Porn, normato dall’articolo 612-ter del Codice penale, e descritto come “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”: ecco che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.
Una protezione della propria intimità che, in effetti, costituisce una prova di civiltà rispetto al mancato consenso alla diffusione di materiale autobiografico privato e che si vuole resti tale, in considerazione anche delle conseguenze estreme di una diffusione non autorizzata, come il suicidio della vittima.
Come ricorda il triste caso canadese di Amanda Todd, quindicenne che nel 2012 si tolse la vita dopo che una sua foto di nudo era stata inviata ad amici e compagni di scuola.
Un fenomeno da attenzionare con urgenza, le cui cifre sono state raccolte di recente dal Ministero dell’Interno e che parlano, nel periodo 8 agosto 2019 – 9 agosto 2020, di ben 718 procedimenti penali per il reato di cui all’art. 612-ter c.p. con una percentuale di vittime di sesso femminile pari all’81,62%.
Insomma, reati da contrastare a livello giuridico e, soprattutto preventivo.
Al di là di ogni sorveglianza statale più o meno ferrea sull’infrazione della Legge stessa e di ogni sostegno psicologico ottimale per garantire una tempestiva una denuncia da parte delle vittime, l’auspicio (a parte il debellamento radicale del fenomeno della violenza dalla società, scopo non percorribile a breve-medio termine) è quello di includere sempre più reati possibili nella rosa di quelli penalmente perseguibili e misure penali adeguate, applicabili il più velocemente possibile, a beneficio delle vittime, della loro sicurezza e salute, nonché della sicurezza percepita da parte della Società.
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