2 Ottobre 2024

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Il capo perfetto: la recensione

di Angela Ganci
Psicologo psicoterapeuta, giornalista e docente

Il Capo Perfetto, un imprenditore illuminato, pieno di umanità e da molti considerato impeccabile: queste le caratteristiche immediate del personaggio Julio Blanco suggerite dal film amaro interpretato da uno smagliante Javier Bardem nei panni del Blanco-capo e diretto da Fernando León de Aranoa, dove riecheggia fin da subito il tagliatore di teste che agisce per il “Bene del dipendente”, interpretato dal lodevole George Clooney in “Tra le nuvole”.
Il patron, il capitalista, nella gestione Giusta di un’azienda da premio internazionale, che farebbe di tutto per avere il premio ambito, con una Giustizia che ben poco sa di moralismo.
Il Capo perfetto d’altronde è a capo di un’azienda che produce bilance, e la bilancia è fondamentale nell’iconografia della Giustizia, simbolo di simmetria, equilibrio ed equità.
Un equilibrio sempre instabile, fino all’ultima scena, infatti a simboleggiare la morale della pellicola in una bilancia, posta all’entrata dell’azienda, che non sta mai in equilibrio, nonostante i continui e inutili tentativi di Blanco. La bilancia continua a non mantenere l’equilibrio, così come la vita del protagonista.
Un Capo che agisce in tutti i modi, leciti e illeciti, per garantirsi un equilibrio vantaggioso, una giustizia privata potremmo dire, che si traduce nella vincita di un ambito premio: quali carte arriverà a giocare il Capo perfetto per l’equilibrio della bilancia aziendale, che è poi il perseguimento di un interesse privato di Capo aziendale?
“In attesa della visita di una commissione che possa premiare la sua azienda per l’eccellenza, il titolare di un’azienda produttrice di bilance industriali cerca di risolvere tempestivamente eventuali problemi dei suoi operai”.
Questa in breve la trama del film, dalla cifra record di 20 nomination ai premi Goya, e scelto per rappresentare la Spagna agli Oscar 2022, come miglior film internazionale, battendo la sempre agguerrita concorrenza di Pedro Almodóvar.
Vari i personaggi che si susseguono in questa tragicommedia amara, in cui il Bene del dipendente e della Famiglia-Azienda si scontra con gli interessi di un Capitalismo serrato che sarà disposto a tutto pur di rendere di sé la versione migliore, come Capo e come Uomo.
Blanco si pone da subito al centro della pellicola e intorno a lui si dipanano le storie, intrecciandosi l’un l’altra, ma ad un capo del filo c’è sempre lui, che cerca di muovere le circostanze come meglio gli conviene.
In questa storia dai toni amari, ma anche comici, in ottimo stile pirandelliano, il fulcro iniziale è il licenziamento di un dipendente accompagnato da altrettanti ricatti successivi, come in una legge del contrappasso ben studiata, a danno del Capo che ne smaschereranno la debolezza, assoggettata al Dio Premio Miglior Azienda del Mondo e Miglior Marito.
Ecco i fatti principali enunciati dallo stesso Capo a inizio pellicola, “Il capo è come un padre, e voi siete tutti miei figli. E come in una famiglia, a volte, bisogna prendere decisioni difficili, solo per il bene della famiglia stessa”.
Difficili come il “giusto” licenziamento di un dipendente, immerso nelle lacrime di un uomo che perderà i figli, solo per una necessità aziendale imponderabile. E se “e’ importante la fedeltà e anche il lasciare l’azienda per destini migliori è necessario”,
tanto più che la scelta è compiuta da un Capo attento alle vite personali dei suoi dipendenti (più che altro affinché non si ripercuotano negativamente sulla loro performance lavorativa), sembra che nulla debba rimproverarsi al capitalista giusto, in una bilancia senza peccato e con estrema gloria.
“Siamo una grande famiglia”, non smette di ricordare Blanco ai suoi “adorati” dipendenti, anche quando deve accompagnare qualcuno alla porta, ma lo fa sempre in maniera “molto umana”, come una gamba che va amputata per non pregiudicare l’organismo intero.
E se qualcuno non è d’accordo, e costituisce un problema per un Premio ambitissimo, “tutto ha una soluzione e un suo equilibrio interno”, tutto, a qualunque prezzo.
Bisogna allora, in nome di un equilibrio perfetto e di una performance impeccabile, mantenere il sangue freddo davanti al dipendente licenziato che si piazzera’ sul prato quando la commissione esaminatrice può arrivare a strappare di mano il premio, quando il padre disperato grida al Blanco ladro, arrabbiato perche’ non accetta la liquidazione, ma vuole soltanto la riassunzione.
E se la polizia non può fare andare via il lavoratore licenziato perché è sul suolo pubblico e se quel dipendente va avanti al suono di “Blanco canaglia non vinci la battaglia!”, bisogna scegliere la cosa giusta da fare, la più equilibrata, la più Giusta.
Che cos’altro può fare un Capo “perfetto” quando le cose precipitano, quando arriva lo spregio del licenziato che sporca la bilancia all’ingresso dell’azienda, alla vigilia di una commissione che sta per controllare?
Un Capo Giusto deve di certo agire per il bene della fabbrica (o del proprio tornaconto?), anche, ahimè, se il bene in questione passasse per la violenza e morte (del dipendente licenziato?), un Bene a forma di premio aziendale, naturalmente!
Una storia amara e comica quella de Il Capo Perfetto dove tutto si aggiusta con la violenza, tutto si appiana con premi aziendali e biglietti gratis a teatro per ingraziarsi il dipendente e farlo tacere, omertosamente, quando questo appare proprio un enorme male.
Il film delinea bene la tecnica “l’importante è ripulire prima che arrivi la commissione, truccando la bilancia per trovare l’equilibrio”,
e sembra quasi non esserci giustizia ed equilibrio in Il Capo perfetto, tra omicidi, intimidazioni e menzogne, sennonché il capo verrà infine messo al tappeto dalle stesse Intimidazioni che aveva un tempo perpetrato.
Il Capo Perfetto è in fondo un uomo mediocre, che cede ad astuti ricatti femminili e promuove dipendenti stranieri per paura di essere scoperto, come traditore della moglie e come abusatore di giovani impiegate, mentre continua ad utilizzare il proletario come braccio armato, l’unico che alla fine ci rimetterà davvero, forte con i deboli e sottomesso con gli astuti che hanno la forza di non farsi intimorire dai suoi intenti e che anzi minacciano la rovina aziendale e familiare, come fara’ l’avvenente stagista promossa a responsabile aziendale. Osservando con attenzione gli scintillanti premi appesi al muro della villa con piscina del Capo, è facile immaginare ingiustizie, bugie e morte, tutto indispensabile al fine di bilanciare l’equilibrio capitalista, come in una bilancia continuamente da regolare, a qualunque costo.
Perchè tutto deve essere perfetto per la commissione esaminatrice, al suono del motto “Duro lavoro, equilibrio, fedeltà” (per una facciata da mantenere a ogni costo) in una messinscena umana in stile pirandelliano tutta da gustare, che trasforma la morte e il sotterfugio in una tragicommedia che riesce a strappare molte (amare) risate.
Una commedia noir che fa riflettere su come tutto nella vita non sia altro che un obiettivo gioco di equilibri, equilibrio che, in vista di un obiettivo allettante, non è difficile forzare, soprattutto in assenza di una morale salda e in assenza del benche’ minimo scrupolo.