di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e docente.
Palazzo Steri e il suo celeberrimo carcere, luogo di sofferenza, espiazione, speranza, ma anche di espressione artistico-grafica come strumento di consolazione e conforto dalla colpa.
Noto come Carcere dell’Inquisizione spagnola, o carcere dei Penitenziati, questo ambiente angusto, al limite dell’antiumano, fu utilizzato per quasi due secoli dalla temibile Inquisizione Spagnola, e ancora riecheggia delle grida, delle ristrettezze e delle crudeltà patite dai carcerati.
Chi erano i reclusi, in quale periodo si consumavano tali atrocità, cosa nascondono le celle di una tale portata artistica da lasciare con il fiato sospeso il visitatore?
Palermo, 10 Ottobre 2021, sulle Vie dei Tesori.
Carcere dell’Inquisizione spagnola, ovvero la prigione buia dove per due secoli, dal 1605 al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada rinchiusero e interrogarono innocenti in nome di Dio.
Questo il complesso che sorge nell’antico Palazzo di Piazza Marina a Palermo, un tempo sede del Tribunale del Santo Uffizio, grazie al quale emergono, anzi, continuano a vivere, le testimonianze di un passato terribile e sanguinoso.
Messaggi e graffiti sulle pareti, che sono ben visibili oggi grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Ufficio tecnico dell’Università di Palermo e all’ammirazione di Leonardo Sciascia, che, per primo, si fece portavoce della bellezza, quasi struggente, di tali reperti artistici.
Le carceri dello Steri rappresentano uno dei percorsi visitabili all’interno della manifestazione “Le Vie dei Tesori”, voluta dalla Presidente Laura Nello della Fondazione Le Vie Tesori, e che si concludera’ il 31 Ottobre 2021.
Ecco che, accompagnati dalla guida, affrontiamo un percorso irto di misteri, lugubre, eppure storico, in una Sicilia da ieri, 9 Ottobre, in zona Bianca, bacino di turisti, che oggi sembrano affollare i turni di prenotazione, numerosi e curiosi.
Attraversiamo cosi metaforicamente la storia di prigionieri eretici, bestemmiatori, fattucchiere, amici del demonio, in realtà artisti, intellettuali scomodi, avversari dell’ortodossia politica e religiosa, con indosso una mascherina che ci separa, sempre metaforicamente, dalla condizione di condannati, ma che in realtà ci distanzia ben poco dalla sofferenza percepita entro quelle mura dipinte.
Si, perché immagini e colori escono dalle pareti, raccontano storie, differenziano celle, condizioni sociali, destini.
La prima cella infatti ospita rappresentazioni monocrome, con i graffiti che servivano da preghiera per i condannati, spesso cristiani accusati di bestemmie.
Si tratta di graffiti che rappresentano dei santi, disegnati al fine di essere convertiti o consolati.
Si, perché le condanne non erano limitate e si inasprivano per gradi: la condanna più lieve era una processione con un palco per il pubblico, mentre il condannato attraversava la città con in mano una palma e una candela, altre condanne importanti erano quella al remo, la flagellazione e il rogo.
Proseguendo nella visita alle celle, nella seconda cella è invece raffigurata la discesa negli inferi, e, sottolinea la guida, non troveremo qui mai scritte in spagnolo perché essi erano considerati nemici dei siciliani, inoltre spicca qui il graffito di Gesù, un’identificazione con il carcerato, nella misura Egli indossa le catene tipiche del detenuto.
Tutto questo si può ammirare proseguendo verso il piano successivo; al secondo piano le condizioni cambiano nettamente evidenziando una modifica nello status sociale dei detenuti. In queste celle infatti i graffiti riportano materiali impegnativi come il carboncino o il carbone, è presente una finestra da cui filtra luce solare, si trattava probabilmente di celle che ospitavano carcerati nobili o uomini di cultura, con i carcerieri che miravano alla confisca dei loro beni.
Esistono inoltre elementi antropomorfi, con più gusto nobiliare, elementi floreali, insomma celle eleganti e meno disumanizzanti.
Celle in cui aleggia ancora lo spirito di Fra
Diego la Matina condannato al rogo per aver ucciso un inquisitore, importante personaggio testimone di questo periodo di oscurantismo. E poi, sempre in avanti, la la Stanza di San Rocco, protettore dei malati, in un esempio a catena di stanze policrome, con colori rossi e verdi, dove venivano alloggiati detenuti con funzione di spie dei carcerati. Degne di nota pitture rossicce, e strati di bianco perché i carcerieri tinteggiavano di bianco le mura, in una sorta di rinfresco dall’aria cupa delle celle.
Sono cosi già passati circa quaranta minuti di visita di un percorso storico suggestivo ed emozionante, alla (ri)scoperta di un passato lontano, ma umanamente toccante, rimangono impressi nella memoria storie, quadrati di vita, santi e benedetti, e la voce della guida che ripete “le carceri spagnole, tetimonianza di questo periodo di estremo buio per l’Europa, che oggi rivive grazie all’Università degli Studi di Palermo e all’importanza attribuitavi da Leonardo Sciascia”.
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