Il prezzo dell’olio d’oliva extra vergine che diminuisce nei supermercati: un mistero, vista l’annata magra

olio oliva foto italpress
di Giulio Ambrosetti
Da almeno quattro anni non vediamo più nei centri commerciali le “Offertissime” di olio extra vergine di oliva italiano. Ricordiamo bene che in certi grandi centri commerciali campeggiava un grande banco con centinaia e centinaia di bottiglie di questo pregiato grasso vegetale venduto a prezzi concorrenziali: 3 euro e 99 centesimi di euro a bottiglia e, in alcuni casi, anche a 2 euro e 99 centesimi di euro a bottiglia.
Non erano bottiglie da un litro ma di tre quarti di litro. In ogni caso il prezzo era troppo basso. Quattro anni fa, o giù di lì, l’olio d’oliva extra vergine acquistato a ‘bocca di frantoio’ (cioè direttamente dal frantoio, quindi non imbottigliato) costava in media 7 euro al litro (per la cronaca, un litro di olio d’oliva extra vergine pesa 916 grammi o, se si preferisce, 0,916 kg). Allora ci chiedevano: com’è possibile che una bottiglia di olio extra vergine di oliva da tre quarti di litro venga venduto al prezzo di 4 euro o, addirittura, a 3 euro? Insomma, rispetto all’acquisto a ‘bocca di frantoio’, con i costi aggiuntivi dell’imbottigliamento e della distribuzione, il prezzo, invece di andare su, andava giù… Magia? Vattelappesca!
Come tutti sappiamo, negli ultimi anni il clima ha cominciato a fare le bizze. E siccome l’agricoltura dipende dal clima (ad eccezione delle serre, ma l’albero d’olivo non si coltiva in serra), non sono mancati i problemi. Che, si badi, ci sono sempre stati, perché il clima ogni tanto tira brutti scherzi. Ma, grosso modo, dal 2021 – anno molto caldo e in Sicilia di estesi incendi boschivi – come dire, l’andamento climatico è diventato, per gli agricoltori, una sorta di osservato speciale.
Se in un’annata olivicola la ‘Mosca dell’olivo’ non presenta eccessivi problemi, ecco che si presenta una patologia fungina o, magari, il clima che danneggia la fioritura e via continuando. Per la disperazione degli agricoltori che ormai, almeno dalle nostre parti, sembra che esercitino un’attività tra le più difficili, tra clima pazzerello, burocrazia e ‘invasione’ di prodotti agricoli dall’universo mondo, frutto amaro, se non avvelenato, della globalizzazione economica che nei Paesi economicamente e socialmente evoluti è spesso una mezza tragedia. Questo perché – è il caso dell’Italia – i nostri agricoltori si trovano a competere con Paesi dove il costo del lavoro agricolo è inferiore del 90% (in Italia il costo di un operaio agricolo è di circa 80 euro al giorno, in alcuni Paesi dell’Africa e del Sudamerica è di 5 euro al giorno quando va bene).
Ma torniamo all’olio d’oliva extra vergine. Come accennato, quattro anni fa si rimaneva stupiti di certi prezzi bassi. Poi la situazione si è assestata. Due anni fa e lo scorso anno, nei centri commerciali siciliani, il prezzo dell’olio extra vergine di oliva non scendeva mai sotto gli 8-9 euro a bottiglia. Considerato che il prezzo, a ‘bocca di frantoio’, oscillava tra 8 e 10 euro al litro e che una bottiglia, come già ricordato, contiene tre quarti di litro di olio d’oliva extra vergine, beh, ci poteva anche stare. Il prezzo era sempre un po’ basso ma ci poteva stare. Quest’anno, invece, stiamo assistendo a un fenomeno non diffuso ma presente di bottiglie di olio extra vergine di oliva con prezzi al ribasso.
Girando qua e là abbiamo notato la presenza di olio extra vergine di oliva, sempre da tre quarti di litro, al prezzo di 6 euro e anche di 5 euro a bottiglia. La cosa è un po’ strana, perché l’annata in corso – che si calcola con le olive raccolte a fine dell’anno precedente, in questo caso a fine 2024 – non è stata eccezionale: anzi. La siccità in Puglia, in Calabria e in Sicilia – le tre Regioni italiane dove si concentra l’85-90% della produzione di olio d’oliva extra vergine – hanno accusato perdite, in media, del 30% circa della produzione (e ci stiamo tenendo alti). Ora, com’è possibile, a fronte di una produzione di olio d’oliva extra vergine italiana che si è ridotta, che il prezzo sia addirittura diminuito?
Semmai dovrebbe succede il contrario, se è vero che, a fronte di una riduzione della produzione, il prezzo dovrebbe aumentare! Sempre che, ovviamente, si tratti di olio d’oliva extra vergine siciliano.
L’Italia importa olio d’oliva da altri Paesi a prezzi più bassi rispetto al nostro prodotto? In un articolo dell’ANSA dello scorso 21 Febbraio leggiamo che l’Italia “è il principale importatore di olio d’oliva tunisino, con il 33,8% delle esportazioni complessive del Paese nordafricano, seguito dalla Spagna con il 22,7% e gli Stati Uniti con il 17,2%. Lo rivela l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale dell’agricoltura tunisino (Onagri), che prende in considerazione i primi tre mesi della stagione 2024 2025”.
Parliamo di Gennaio, Febbraio e Marzo di quest’anno. “Secondo la stessa fonte – leggiamo sempre nell’articolo dell’ANSA – lo stesso periodo ha visto un incremento significativo del 36,7%, delle esportazioni, con un totale di 84.100 tonnellate alla fine di Gennaio 2025, ma con ricavi diminuiti del 24,4% rispetto alla stagione precedente, pari a 1,2 miliardi di dinari, ovvero circa 400 milioni di euro. Ciò è dovuto, secondo Onagri, all’abbassamento del prezzo medio dell’olio, sceso del 44,7% nei primi tre mesi della stagione, variando tra 10 e 22 dinari (da 3,5 a 7 euro) al chilo.
Il mercato europeo rimane la destinazione principale dell’export di olio tunisino, con una quota del 60,3%, seguito dal Nord America (22,8%) e dall’Africa (10,5 %). L’olio d’oliva imbottigliato rappresenta solo il 10,4% delle quantità esportate, tutto il resto viene esportato alla rinfusa, con l’83,3% di percentuale di olio extravergine. Le esportazioni di olio d’oliva biologico hanno raggiunto 18.600 tonnellate, con solo il 3,7% del totale del volume esportato in bottiglia”. Per carità, nulla da dire sull’olio d’oliva tunisino. Però sarebbe interessante capire con che tecniche agronomiche vengono coltivati gli olivi. E se vengono utilizzati pesticidi e, se sì, che pesticidi vengono utilizzati. Ovvero se viene rispettata la cosiddetta ‘reciprocità’ nelle tecniche di coltivazione.