Niente dazi alla Russia: perché? Ue, risposta comune o ogni Paese farà da sé?

dazi paese per paese

di Giulio Ambrosetti

Non ci sono solo Cina, Unione europea e Paesi occidentali colpiti dai dazi doganali americani. Del resto, già lo scorso anno in campagna elettorale per le elezioni presidenziali, Donald Trump aveva avvertito il mondo che, se rieletto, avrebbe ridotto il deficit federale del suo Paese.

In questi casi le opzioni sono due: o aumentare le esportazioni o ridurre le importazioni. Trump ha dato più di due mesi di tempo a tutti i Paesi che esportano beni negli Stati Uniti di avviare una trattativa su import ed export. Della serie: se tu Paese x vuoi continuare a esportare i tuoi prodotti in America devi importare un po’ di prodotti americani. Da quello che si nota, nessun Paese ha risposto all’amministrazione Trump. Non credevano che sarebbero arrivati i dazi doganali americani? Chissà. Fatto sta che i dazi sono arrivati. La mossa di Trump è interlocutoria: aspetta proposte dai Paesi colpiti dai dazi.

Come potete osservare nella tabella sopra, tratta da un canale Telegram, i dazi statunitensi riguardano quasi tutti i Paesi del mondo (la tabella riporta solo alcuni Paesi: tutti i Paesi colpiti dai dazi sono 180). Un grande Paese che non è stato colpito dai dazi doganali americani è la Russia.

Perché? Il Governo statunitense si è limitato a precisare che, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la Russia è stata colpita dalle sanzioni americane. In effetti, prima della guerra in Ucraina il valore del commercio complessivo tra USA e Russia era pari a circa 36 miliardi; oggi il valore è di circa 3,5 miliardi di dollari. Però c’è un però. Calcoli alla mano, gli Stati Uniti importano dalla Russia 2,5 miliardi di dollari in più di quanto esportano. Ciò significa che anche nei riguardi della Russia gli americani pagano un deficit di 2,5 miliardi di dollari.

La spiegazione che viene data è che oggi Trump e Vladimir Putin stanno trattando per la pace in Ucraina e non hanno motivo di ‘farsi male’ a vicenda. Vero. Ma c’è un’altra questione forse più pressante: la Russia è il primo produttore al mondo di fertilizzanti. Mentre gli Stati Uniti d’America, pur avendo un’agricoltura che consente a questo Paese una discreta autosufficienza, non sono grandi produttori di fertilizzanti. Non è una novità: è così da decenni. Per produrre fertilizzanti ci vuole il gas e la Russia ne ha a iosa. Mentre negli USA si preferisce utilizzare il gas per altre finalità.

E l’Europa? Due questioni in primo luogo. Prima questione: come rispondere ai dazi americani? Risposta univoca da parte dei 27 Paesi Ue? Siamo sicuri che, in tempi celeri, la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen risponderà? Ci sono Paesi europei che vorrebbero una risposta ‘muscolare’, ovvero contro-dazi europei ai dazi americani. Insomma, una guerra commerciale.

Siamo sicuri che un’Unione europea con poche materie prime, senza gas e senza petrolio può tenere testa a un Paese autosufficiente e potente come l’America? Tra l’altro, come già ricordato, Trump ha sempre chiesto di trattare su import ed export. Forse è molto più logico che ogni Paese europeo tratti singolarmente con gli USA. Anche perché le esigenze e le economie di ognuno dei 27 Paesi Ue sono diverse.

Seconda questione: il dollaro. L’amministrazione americana non si sta limitando a ridurre, se non a bloccare con i dazi le importazioni ma sta anche indebolendo il dollaro. In economia, è noto, se una moneta si indebolisce – ovvero se viene svalutata – facilita le esportazioni del Paese che svaluta la propria moneta. Per dirla in breve, l’America si muove su due piani: dazi doganali per rendere poco competitive le merci estere e indebolimento del dollaro per rendere competitive le merci statunitensi.

A queste mosse bisogna rispondere in tempi stretti, perché dazi e dollaro debole riducono le esportazioni in America (dazi) e aumentano le esportazioni americane nel mondo (dollaro debole). Ciò significa che prendere tempo provocherà perdita di mercati, chiusura delle aziende a aumento della disoccupazione.