21 Settembre 2024

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Qui rido io: la recensione del film di Martone

di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista, docente.

“Qui rido io”: questo il titolo del film, coinvolgente e appassionante, di genere biografico, drammatico, presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e
diretto da Mario Martone. Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 9 settembre 2021, la pellicola ha come protagonista Toni Servillo nel ruolo del commediografo e attore napoletano Eduardo Scarpetta,
Eduardo Scarpetta (1853-1925), il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo (Eduardo, Titina e Peppino De Filippo erano suoi figli naturali), colui che creò il teatro dialettale moderno.
Questo narra la Storia quale figura leghendaria di Scarpetta, ma come viene rappresentato lo Scarpetta nel film di Martone?
Eduardo Scarpetta è, fin da subito, l’uomo innamorato della commedia napoletana, tanto da spronare figli e figliastri a recitare al meglio, con estenuanti prove e metaforiche bastonate di fronte alle inesattezze delle battute recitate.
Questo l’incipit del film, il pathos che accompagna le prime scene, la passione manifesta per “Miseria e nobiltà”, celebre commedia italiana in tre atti scritta in napoletano dallo Scarpetta nel 1887, recitata più volte, idolatrata quasi, nella prima parte del film.
Quindi subito lo snodo e il cuore del film stesso: l’autorizzazione richiesta al poeta D’Annunzio di rappresentare la parodia di una sua opera, con la speranza di ricevere la risposta fermente di un Si, contando sugli amichevoli rapporti con il vate. Trapela pur la paura di un No, questo ben si comprende, di fronte alla mancanza di un documento cartaceo che attesti il Si del titolare dell’opera, anche visti i costi dell’allestimento del teatro dove sarà rappresentata la parodia, ma Scarpetta è ottimista, un vincente, crede in se stesso.
Interessante in proposito l’euforia di Eduardo di fronte all’autorizzazione verbale del Vate, incurante di possibili imprevisti o nonconsensi. Eppure l”oggetto del contendere diverrà presto “Il Figlio di Iorio”, la parodia da autorizzare scritta da Eduardo Scarpetta del più celebre dramma “La figlia di Iorio” di Gabriele D’Annunzio
Un contendere litigioso e legalmente connotato, che non riceverà mai l’esplicito Via Libera formale del Vate: il pubblico non apprezza, protesta, chiama gli attori buffoni, pagliacci, inneggia a D’Annunzio e denigra Scarpetta, inneggia al plagio, alla truffa.
Così lo spettacolo messo in scena durante la prima della nuova parodia finisce con la riproposizione di Miseria e Nobiltà da parte del figlio di Eduardo, Vincenzo, chiudendo un sipario assolutamente fallimentare.
E arriviamo cosi alla citazione in tribunale da parte della società degli Autori con l’accusa di plagio: la parodia è soltanto contraffazione, per trarne lucro a danno dell’autore, ovvero il Vate.
Gli Autori difendono il vate a spada tratta, per riportare l’opera napoletana, il teatro d’autore, alle sue origini, nei drammi della vita quotidiana e non nelle parodie che allontanano dalla realtà.
E la sentenza? Sembrerebbe tutta a favore di D’Annunzio, in grado di proporre un dramma bello, sublime, mentre Scarpetta è stato solo in grado di deformare il vate.
Parodia o contraffazione, insomma? La disputa, attorno a cui è concentrata tutto il successo del film di Martone. Perché in essa spicca la strenua difesa di un comico che ha fatto solo il suo lavoro, inneggiando alla parodia non come plagio e contraffazione di un’arte sublime, ma come forma d’Arte indipendente, diversa dall’opera da cui la parodia è tratta e che non deve dare ragione ad alcuno e ricevere autorizzazioni di sorta.
Agli spettatori il compito di scoprire il pomposo.e divertente finale di un film in grado di regalare drammi, risate e riflessioni sul significato di Arte e Artisti, drammi e risate che sdrammatizzano il Reale e regalano un’impareggiabile illusione di leggerezza.